Da ragazzo passeggiava con Benedetto Croce e stringeva amicizia con Paolo Gobetti, figlio di Piero. Nei tardi anni Cinquanta fu tra i fondatori di un importante collettivo che si proponeva di lanciare una canzone diversa rispetto al modello sanremese dominante. Si chiamava Cantacronache e radunò attorno a sè poeti, letterati e musicisti del calibro di Italo Calvino, Franco Fortini, Gianni Rodari, Sergio Liberovici. Lui è Emilio Jona, il solo sopravvissuto a quella importante stagione che per molti rappresentò l’inizio della canzone d’autore in Italia (Oltre il ponte, Per i morti di Reggio Emilia, La zolfara…). 92 anni, avvocato, scrittore, paroliere, studioso di musica popolare, oltre che romanziere e librettista d’opera, Jona è stato fra gli animatori di quel gruppo e co-autore di un libro che inaugurò gli studi seri sulla canzone italiana: Le canzoni della cattiva coscienza, con prefazione di Umberto Eco. Su questo e molto altro Jona dialoga con Paolo Prato in una lunga intervista nella quale fanno capolino I canti della Resistenza Spagnola e quella algerina, quelli della Grande Guerra, la ballata tradizionale, il repertorio di risaia e la canzone operaia, temi affrontati da Jona in altrettante monumentali opere editoriali e discografiche. Il tutto alternato da frammenti musicali di una storia diversa, che attraversa mezzo secolo nella perenne affermazione di una coscienza critica.