Ecclesia – Passione per i poveri e per Dio: don Enrico, uno dei nuovi cardinali, e don Pietro, giovane parroco, si raccontano

26 ottobre 2020

I nomi di tredici nuovi cardinali che saranno creati nel concistoro del prossimo 28 ottobre e che sono stati resi noti dal Papa al termine della preghiera dell’Angelus hanno riservato più di una sorpresa. Sorprese per la verità non nuove da parte di Francesco che continua ad allargare ai confini del mondo, dall’Africa all’Asia, dall’America del nord a quella del sud, l’orizzonte all’interno del quale individuare sacerdoti e vescovi che da cardinali possano supportare il Papa nel ministero, così ha detto lo stesso Pontefice, di Vescovo di Roma per il bene di tutto il popolo di Dio.

Tra i sei italiani, tre, con meno di ottanta anni, potranno entrare nel prossimo conclave. Si tratta di monsignor Marcello Semeraro, già vescovo di Albano e nuovo Prefetto della Congregazione per le cause dei santi, fra Mauro Gambetti, custode del Sacro Convento di Assisi, Monsignor Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena, Colle Val d’Elsa, Montalcino. Tre gli ultraottantenni italiani: padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, monsignor Silvano Tomasi già osservatore permanente alle Nazioni Unite di Ginevra e monsignor Enrico Feroci, attualmente parroco al Santuario del Divino Amore e per lunghi anni direttore della Caritas di Roma. E proprio lui, che per tutti è sempre don Enrico, racconta ad Alessandra Giacomucci in studio la sorpresa per questa nomina che accoglie come segno del riconoscimento del Papa del servizio che tutti i sacerdoti di Roma svolgono.

Nella seconda pagina di Ecclesia di lunedì 26 ottobre don Pietro Sacchi, sacerdote orionino che nei mesi della prima ondata della pandemia prestava servizio come cappellano all’ospedale di Tortona, racconta il suo attuale impegno di parroco che, mentre la diffusione del Covid crea nuovo allarme, nuovi ricoveri e morti, nuovo disagio sociale racconta con passione le sue nuove frontiere, quelle del carcere e del campo rom come dei poveri della sua comunità parrocchiale, relazioni nelle quali si spende nel servizio accanto a ogni fatica e ad ogni speranza.